L’Arcadia in Brenta, libretto, Bonn, Stamparia delle Loterie, 1771

 non fate che vi domini la bile.
 FABRIZIO
 Che bile? Che m’andate
 bilando e strabilando!
510Ve ne dovete andar qualor vi mando.
 
    Corpo del diavolo,
 parmi un po’ troppo.
 Che! Sono un cavolo?
 Son gentiluomo,
515del mio paese
 io fo le spese,
 io son padrone.
 Che impertinenza!
 Che prepotenza!
520Come? Che dite?
 Eh padron mio,
 basta così!
 
 FORESTO
 Finalmente fu scherzo.
 FABRIZIO
 Sì, fu scherzo ma intanto
525l’orologgio, la scattola e l’anello
 non si vedono più.
 FORESTO
                                     Siete in errore;
 eccovi l’orologgio,
 la scattola, l’anello.
 Ciò ch’è il vostro ognun di noi vi rende
530né di usurpar il vostro alcun pretende. (Gli rende tutto)
 FABRIZIO
 Eh non dico, non dico ma vedermi
 strapazzato e deriso...
 FORESTO
 Lo fan sul vostro viso
 per prendersi piacer ma di dietro poi
535le vostre spalle ognun vi reca lode
 e del vostro buon cuor favella e gode.
 FABRIZIO
 Son bon amico e faccio quel che posso.
 FORESTO
 A proposito, amico,
 che facciam questa sera?
540La carozza è venduta,
 sono andati i cavalli
 e da cena non v’è.
 FABRIZIO
                                   Come? In un giorno
 tanti ducatoni sono andati?
 FORESTO
 I debiti maggior si son pagati.
 FABRIZIO
545Io non so che mi far.
 FORESTO
                                        Siete in impegno,
 sottrarvi non potete.
 FABRIZIO
 Consigliatemi voi, se lo sapete.
 FORESTO
 L’orologgio e l’anello
 si potrian impegnar.
 FABRIZIO
                                         Sì, dite bene.
 FORESTO
550Ma non so se denaro
 si troverà abbastanza.
 FABRIZIO
                                           Ecco, prendete
 questa scattola ancora.
 Altro più non mi resta,
 Foresto caro, a terminar la festa.
 FORESTO
555Siete un grand’uom; peccato
 non abbiate il tesor maggior del mondo
 (che presto noi gli vederemmo il fondo).
 Vado a trovar il denaro
 e tosto a voi ritorno.
560Un certo non so che si va ideando.
 Qualor torno saprete il come e il quando. (Parte)
 
 SCENA III
 
 FABRIZIO, poi LINDORA
 
 FABRIZIO
 Tutto va ben; lo so che mi rovino.
 Ma non importa. Almen anch’io godessi
 da coteste mie ninfe traditore
565un qualche segno di pietoso amore.
 LINDORA
 Signor Fabrizio.
 FABRIZIO
                                 (Questa, a dir il vero,
 mi par troppo flemmatica).
 LINDORA
                                                     Non sente?
 Signor Fabrizio.
 FABRIZIO
                                 (Io non ricuserei
 di far un poco il cicisbeo con lei).
 LINDORA
570Si... gnor Fa... brizio. (Con caricatura)
 FABRIZIO
                                          Oh cielo! Mi perdoni,
 non l’avevo sentita.
 LINDORA
 Ho gridato sì forte che la gola
 mi si è tutta enfiata;
 quasi in petto una vena mi è crepata.
 FABRIZIO
575Canchero. Se ne guardi.
 LINDORA
 Sederei volontieri
 ma questa sedia è dura indiavolata.
 Sul morbido seder sono avvezzata.
 FABRIZIO
 Ehi... Ehi reca tosto
580una sedia miglior. (Dal servo li vien portato altra sedia)
 LINDORA
                                     Molt’obbligata.
 FABRIZIO
 Siedi qui, starà meglio.
 LINDORA
                                             Oibò, è sì dura
 cotesta imbottitura
 ch’io non posso sperar di starvi bene.
 FABRIZIO
 Rimediarvi conviene.
585Porta la mia poltrona.
 LINDORA
 Compatisca signor.
 FABRIZIO
                                      Ella è padrona.
 Eccola, se ne servi. (Il servo con la poltrona)
 LINDORA
                                      Oh peggio, peggio.
 No no, non me ne curo;
 il guancial di vacchetta è troppo duro.
 FABRIZIO
590Eh corpo d’un giudio,
 ora la servo io. (Parte)
 LINDORA
                               Portate via
 la sedia ed il guanciale,
 quel odor di vacchetta mi fa male. (Torna Fabrizio con un matarazzo)
 FABRIZIO
 Eccole un matarazzo;
595di più non posso far.
 LINDORA
                                        Quest’è un strapazzo,
 lo conosco, lo so, no, non credevo
 dover soffrir cotanto;
 (io crepo dalle risa e fingo pianto).
 
    Voglio andar... Non vuo’ più star,
600più beffata esser non vuo’,
 signorsì, me n’anderò.
 Sono tanto tenerina
 ch’ogni cosa mi scompone;
 e voi siete la cagione
605che m’ha fatto lacrimar. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 FABRIZIO, poi FORESTO
 
 FABRIZIO
 Si contenga chi può. Corpo del diavolo
 non ne potevo più.
 FORESTO
                                     Signor Fabrizio,
 il principe d’Arcadia ha comandato
 che dobbiam recitar all’improviso
610stassera una comedia.
 FABRIZIO
                                           Io non ne so.
 FORESTO
 Non temete, ch’io vi contenterò.
 Io sono destinato
 di far da innamorato,
 da innamorata dovrà far madama.
615Lauretta fa la serva,
 il nostro conte farà da genitore
 e voi dovete far da servitore.
 FABRIZIO
 Da servitor?
 FORESTO
                          Cioè la parte buffa.
 FABRIZIO
 Il buffo io dovrò far? Quest’è un mestiere
620ch’è difficile assai.
 Per far ridere i pazzi
 non vi vuol grand’ingegno
 ma far ridere i savi è grand’impegno.
 FORESTO
 Già s’avanza la notte,
625andatevi a vestir, ch’io venirò.
 FABRIZIO
 Farò quel che potrò.
 Mi dispiace il parlar all’improvviso.
 Se fosse una comedia almen studiata,
 si potrebbe salvar il recitante,
630dicendo che il poeta è un ignorante.
 
 SCENA V
 
 FORESTO solo
 
 FORESTO
 Certo, non dice mal, sogliono tutti
 gettar la colpa su la schiena altrui.
 Se un’opera va mal, dice il poeta:
 «La mia composizion è buona e bella;
635quel ch’ha fallato è il mastro di capella».
 E questo d’aver fatto
 gran musica si vanta
 e che il difetto vien da chi la canta.
 Infine l’impressario
640senza saper qual siane la cagione
 se ne va dolcemente in perdizione.
 
    Perché riesca bene un’opera,
 quante cose mai vi vogliono!
 Libro buono e buona musica,
645buone voci e donne giovani,
 balli, suoni, scene e machine
 e poi basta? Signor no.
 Che vi vuole? Io non lo so!
 Ma nol sa né men chi critica,
650benché ognun vuol criticar.
 
 SCENA VI
 
 Il CONTE col nome di Cintio e FABRIZIO da Pulcinella, LAURETTA da Colomba, LINDORA col nome di Diana e infine FORESTO da Pantalone
 
 CONTE
 Seguimi, Pulcinella.
 FABRIZIO
                                       Eccomi cà.
 CONTE
 Siccome un’altra nube
 si oppone al sole e l’ampia terra oscura,
 così da quelle mura
655coperto il mio bel sol, cui l’altro cede,
 l’occhio mio più non vede, ond’è che afflitto
 i nuovi raggi del mio sole attendo.
 FABRIZIO
 Tu me parle tidisca, io non t’intendo.
 CONTE
 Fedelissimo servo,
660batti tu a quella porta.
 FABRIZIO
 A quale porta?
 CONTE
                              A quella.
 FABRIZIO
                                                 Io non la vedo.
 CONTE
 Finger dei che vi sia.
 Invece della porta,
 in un quadro si batte o in una sedia,
665come i comici fanno alla comedia.
 FABRIZIO
 Aggio caputo ma famme na grazia;
 pecché da tozzolare aggio alla porta?
 CONTE
 Acciò che la mia bella
 venga meco a parlar.
 FABRIZIO
                                         Cà sulla strada?
 CONTE
670È ver, non istà bene
 che facciano l’amor sopra la strada
 civili onesti amanti
 ma ciò sogliono far i commedianti.
 FABRIZIO
 Sì sì, tozzolerò ma se qualcuno,
675quando ho battuto io, battesse a me?
 CONTE
 Lascia far; non importa. Io son per te.
 FABRIZIO
 Oh de casa.
 LAURA
                        Chi batte?
 FABRIZIO
                                              Songo io.
 LAURA
 Serva sua, signor mio.
 FABRIZIO
 Patron, chessa è per me.
 CONTE
                                               Chi siete voi,
680quella giovine bella?
 LAURA
 Io sono Colombina Menarella.
 CONTE
 Di Diana cameriera?
 LAURA
 Per servir vusustrissima.
 FABRIZIO
 Obregato, obregato.
 CONTE
                                       Deh vi prego,
685chiamatela di grazia.
 LAURA
                                         Ora la servo.
 FABRIZIO
 Sienteme, peccerella,
 vienence ancora tuie,
 ch’a nce devertiremo fra de nuie.
 LAURA
 Sì sì, questa è l’usanza,
690se i padroni fra lor fanno l’amore,
 fa l’amor colla serva il servitore.
 
    Il padron colla padrona
 fa l’amor con nobiltà.
 Noi andiamo giù alla bona
695senza tanta civiltà.
 
    Dicon quelli: «Idolo mio,
 peno, moro, smanio, oh dio!»
 Noi diciam senz’altre pene:
 «Mi vuoi ben, ti voglio bene»
700e facciamo presto presto
 tutto quel che s’ha da far. (Si ritira fingendo di chiamar Diana)
 
 CONTE
 Ti piace, Pulcinella?
 FABRIZIO
 A chi non piaceresti, o Menarella?
 CONTE
 Ecco viene quel bel che m’innamora.
 FABRIZIO
705Con essa vene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)
 CONTE
 Venite mio... Venite per pietà.
 LINDORA
 Vengo, vengo mio bene, eccomi qua.
 CONTE
 Voi siete il mio tesoro.
 LINDORA
 Per voi languisco e moro.
 FABRIZIO
710Ah tu si’ la mia bella.
 LAURA
 Ah voi siete il mio caro Pulcinella.
 CONTE
 A voi donato ho il core.
 LINDORA
 Ardo per voi d’amore.
 FABRIZIO
 Per te me sento lo Vesuvio in petto.
 LAURA
715Cotto è il mio core al foco dell’affetto.
 CONTE
 
    Vezzosetta, mia diletta. (A Lindora)
 
 FABRIZIO
 
 Menarella, mia caretta.
 
 LINDORA
 
 Cintio caro, Cintio mio.
 
 LAURA
 
 Pulcinella bello mio.
 
 LINDORA
 
720Che contento, che diletto.
 
 LAURA
 
 Vien, mio bene, a questo petto.
 
 A QUATTRO
 
 Io ti voglio un po’ abbracciar. (Viene Foresto da Pantaleone)
 
 PANTALONE
 
    Ola, ola, cosa feu?
 Abbrazzai? Cagadonai!
725Via caveve, via de qua.
 
 LINDORA
 
    Io m’inchino al genitore.
 
 LAURA
 
 Serva sua, signor padrone.
 
 CONTE
 
 Riverisco mio signore.
 
 FABRIZIO
 
 Te so’ schiavo Pantalone.
 
 FORESTO
 
730El ziradonarve attorno,
 tutti andeve a far squartar.
 
 CONTE
 
    Vuol ch’io vada?
 
 FORESTO
 
                                    Mi ve mando.
 
 FABRIZIO
 
 Vado anch’io?
 
 FORESTO
 
                             Mi v’ho mandao.
 
 CONTE
 
 Anderò colla mia bella.
 
 FABRIZIO
 
735Anderò con Menarella.
 
 LINDORA, LAURA
 
 Io contenta venirò.
 
 FORESTO
 
 Via tiolé sto canelao.
 Colle putte? Oh questo no.
 
 LINDORA
 
    Signor padre per pietà. (S’inginocchia)
 
 LAURA
 
740Gnor padron, per carità. (S’inginocchia)
 
 CONTE
 
 Deh vi supplico ancor io. (Fa l’istesso)
 
 FABRIZIO
 
 Pantalon, patrone mio. (Fa l’istesso)
 
 FORESTO
 
 Duro star non posso più.
 Via mattazzi, levé su.
 
 A QUATTRO
 
745   Io vi prego.
 
 FORESTO
 
                           Zitto là.
 
 A QUATTRO
 
 Vi scongiuro.
 
 FORESTO
 
                           Vegnì qua.
 
    Cari fioi, deve la man.
 Alla fin son venezian,
 m’avé mosso a compassion.
 
 A QUATTRO
 
750Viva, viva Pantalon.
 
 A CINQUE
 
    Viva, viva il dolce affetto;
 viva, viva quel diletto
 che produce un vero amor,
 che consola il nostro cor. (Tutti partono)
 
 SCENA VII
 
 FABRIZIO, poi LAURETA
 
 FABRIZIO
755Ohimè dove m’ascondo?
 Ohimè, che son andato in precipizio.
 Povera Arcadia! Povero Fabrizio!
 È finito il denaro;
 è venduto il vendibile. Ogni cosa
760alfin s’è terminata il giorno d’ieri
 e non v’è da mangiar per i forestieri.
 Oh sorte! Oh cielo! Oh fato!
 Io non so che mi far, son disperato.
 LAURA
 Signor Fabrizio d’ogni grazia adorno,
765io gli auguro buongiorno.
 FABRIZIO
 Grazie a vusignoria.
 LAURA
 Che mai ha, che mi pare
 alterato un tantin?
 FABRIZIO
                                     Mi duole il capo.
 LAURA
 Me ne dispiace, anch’io
770mi sento nello stomaco aggravata,
 beverei volontieri la cioccolata.
 FABRIZIO
 (La solita campana).
 LAURA
                                        Vuol far grazia
 d’ordinarla in cucina?
 FABRIZIO
 (Certo tu non la bevi stamatina).
 
 SCENA VIII
 
 Madama LINDORA e detti
 
 LINDORA
775Signor Fabrizio, amabile e garbato,
 ella sia il ben levato.
 FABRIZIO
                                        Ancora lei.
 LINDORA
 Supplicarla vorrei
 ordinar mi sia data